domenica 11 ottobre 2009

VIR VIRTUS

La virilità dell’ uomo è fra i venticinque anni e i sessanta, ma raggiunge la sua perfezione fra i trenta e i cinquanta. E’ in questo periodo che egli dimostra la sua vera natura, esplica il suo vero carattere, svolge le sue facoltà. Prima, si hanno
tentativi, preparazioni, assaggi; dopo, ripetizioni, consolidamento, quando non sopravvengano deformazioni e degenerazioni. E’ il periodo della responsabilità cosciente, piena. Per usare un termine fotografico, è allora che la mente umana è “ in fuoco “. E’ il punto giusto per osservare il quadro della vita e giudicarlo, ed è da questo giudizio che deriva ed è spiegata ogni azione. E’ in questo spazio di tempo che si rivela in pieno e dove ricercarsi il sano addottrinato e il sano ignorante, e purtroppo l’ ignorante cattivo, inguaribile e calamitoso. I primi due sono l’ ordine e la salute, quest’ ultimo è la malattia e il disordine. Quelli tendono a conservare la società, a fortificarla, ornarla; questo la insidia continuamente, la sconvolge, l’ appesta.
Ho parlato di responsabilità cosciente. Ogni posizione, ogni stato, ha i suoi obblighi, e il non conservarli dopo averli conosciuti è tradimento e viltà. Molto si deve perdonare ai giovani e molto anche ai vecchi, ma coloro che sono nel pieno vigore dell’ età e della mente non sono meritevoli d’ indulgenza quando trasgrediscono ai loro doveri. Milizia è la vita, e ognuno che di questa vuol essere buon soldato è tenuto alla stretta osservanza della disciplina comune e della particolare consegna.
Ora la società umana, specialmente la società civile, può essere considerata come un grande esercito nel quale i migliori soldati, come nel vero esercito, sono i perfetti ignoranti; e coloro che veramente sanno, i migliori ufficiali. Fra questi due gruppi n’ esiste un terzo, ancora troppo numeroso, il quale non partecipando della disciplina pronta ed assoluta dei primi, né della responsabilità consapevole e sapiente dei secondi, fornisce a dovizia i traditori, i mettimale, i trasgressori e i transfughi. E’ su questi che bisogna operare col ferro e col fuoco senza tregua e senza pietà. Sono questi rifiuti e scarti umani i veri microbi che con le loro “ tossine “ rendono febbrili e maliscenti i corpi delle nazioni e le conducono al marasma non più sanabile e alla morte.
L’ uomo nel pieno della sua virilità, situato nel miglior punto di osservazione per giudicare della giovinezza e della vecchiaia, del passato ancora vicino e del futuro già prossimo, delle manchevolezze della due età, degli errori e degli scarti della prima e delle lentezze irresolute e più o meno scettiche della seconda, quest’ uomo, dico, se in quel punto felice ed unico non arriva a comprendere il proprio dovere e la funzione che gli è assegnata, diviene un peso morto, un ingombro, e conviene isolarlo; se poi comprende, ma non vuole uniformarsi né conformarsi, allora bisogna combatterlo senza quartiere fino ad eliminarlo.
Si nasce ignoranti, voglio dire per rimanere ignoranti, come si nasce biondi o bruni. Un uomo a trent’anni deve sapere ormai se è biondo o è bruno, avendo avuto tutto il suo tempo per guardarsi. Deve insomma aver capito se è nato per sapere o per ignorare, se è cervello o braccio, se è nato per concepire o per eseguire ordini. Mi direte che vi sono infinite sfumature. E’ vero. E allora vi rispondo che in trent’ anni uno ha avuto tutta la comodità per conoscere la sua sfumatura. Il male è che molti, per illudere gli altri e anche se stessi,ricorrono alle tinture, ed è proprio di qui che comincia la confusione, il disordine ed il pericolo. Torneremo a parlare di questi pittori e mascheratori di se stessi, ed adopreremo i necessari detergenti e decoloranti, e spugne, e raschini e striglie; per ora tratteremo di coloro che accettano interamente se stressi dalle mani di madre natura che è figlia a sua volta di un Padre che non erra.
Già in questa semplice ed umile accettazione è il segno riconoscibile di una superiorità bella e grande. Sono coloro che dicono: “ amen “ ; e non lo dicono soltanto, ma lo vivono, animati, guidati, sorretti, consolati dallo spirito di questa perfetta parola in ogni loro pensiero ed azione. Sono questi che formano l’ esercito invincibile dei perfetti ignoranti. Ora, è appunto nella piena virilità che l’ uomo raggiunge questa perfezione consapevole e attiva.
Si nasce tutti ignoranti, ma vi sono i chiamati a rimanere tali per tutta la vita, e sono i più, e gli eletti ad assimilare il sapere, ad aumentarlo a diffonderlo, a trasmetterlo. La natura ha dotato i primi di un certo numero d’ istinti fondamentali, sicuri ed infallibili e di alcune poche idee che si direbbero innate, molto chiare, molto semplici, indubitabili ed inamovibili.
Chi studia deve fare quasi sempre dei lunghi giri complicati per arrivare alla semplicità di una di quelle idee. Allora dice: guarda! Era così vicina! Chi studia brancola continuamente: i nostri laboratori potrebbero chiamarsi “ brancolatori”, e i nostri studi “dubitatoi”. L’ ignorante non conosce dubbi, non ha che certezze, molto curiose alle volte e anche assai discutibili, ma certezze per lui, e non sa che vie diritte, le quali egli percorre a passo d’ uomo, pacatamente.
Qualche volta egli muta certezza, ma non mai dubbio come fa il dotto. Il dubbio, questa peretta che fa correre la cavalla Scienza fino a scoppiare e fa volare il Pegaso sopra le nuvole tonanti alla ricerca di un refrigerio introvabile, non lo conosce nemmeno di nome. Il pane e la femmina sono i suoi poli e i suoi confini, cose
raggiungibili sempre con un minimo di buona volontà cose a portata di mano; l’ altro, il suo fratello che sa, corre dietro con la sua reticella da farfalle a tutte le chimere volanti nell’ aria: gloria, amore, libertà, assoluto …. Le quali si divertono a battergli le ali nel naso e ad entrare qualche volta nella rete per poi fuggire di tra le maglie. Il suo fratello che non, sa si contenta dell’ onesto e difficilmente è deluso. Egli cerca sempre cose che ci sono e che si possono trovare, come quando uno si mette per un bosco in cerca di funghi o di fragole. Cose che si possono vedere e toccare, egli cerca, corpose, palpabili, che si possono soppesare con la mano, giudicare con l’ occhio, pesare con la bilancia, misurare col metro, cose che si possono mettere nello stomaco, in tasca, addosso, nel magazzino e nel letto.
Lui dice: questo è un fiasco di vino bono e questa è la mì donna, stasera a cena fra me e lei si manda più che a mezzo e dopo ci si vuol più bene; per comprare quella casa mi ci vuol tanto, poi si va dal notaro a fare il contratto e allora diventa mia e ne fo quel che mi pare; il mio cavallo piglia cinque anni a maggio e se lo vendo ci raddoppio; il quindici mi scade la cambiale; domattina bisogna che vada alla stazione per svincolare i colli …
E’ così che egli parla e pensa ed opera.
I suoi pensieri, come i suoi passi, si muovono e si aggirano fra il mercato e la stazione, fra il banco di vendita e la banchina di scarico, oppure fra il campo e la stalla, oppure fra la fabbrica e il cantiere, l’ osteria e il gioco delle bocce …
Gli uomini così fatti, o vivano nell’ agiatezza, o raggiungano la ricchezza, o si contentino di un’ umile condizione, che è pure una maniera di riuscire assai difficile, quella cioè di riuscire a contentarsi, questi uomini sono il nerbo e la spina dorsale della nazioni. Sapere quello che vogliono e quello che fanno e farlo bene, e una perfetta ignoranza di tutto il resto, che non vuol dire ignoranza totale, ma ignoranza pudica, contegnosa, rispettosa dell’ altrui provata e dimostrata competenza, è questa la loro principale e simpatica caratteristica. Sono i buoni, i forti, i sani fratelli che mandano avanti la grande famiglia, mentre i fratelli discoli e perdigiorno sono fuori a fa bagordi e debiti, e i fratelli sognatori, - per i quali in fondo hanno un debole, - stanno in cima alla torre di casa a guardare le nuvole e i rondoni. Senza saper di grammatica, parlando anacoluticamente, ma conoscendo molto bene l’ analisi logica della realtà pratica, essi regolano i loro affari con sani criteri d’ interesse delle loro menti semplici e schiette non affaticate né offuscate da morali o immorali algebre.
E’ questa l’ età in cui la forza va unita alla giustizia e la prudenza all’ ardire. Questo connubio di virtù, spesso fra loro antitetiche, avviene più presto, come ognuno può avere osservato, fra i semplici che non sanno di lettere che fra i loro più complicati fratelli. E’ un fatto che lo studio ritarda la formazione del carattere, di molto e anche per tutta la vita se è studio superficiale, di poco, se è studio profondo, sempre digerito, assimilato bene. Questo è il carattere cosciente, pienamente consapevole, ottenuto spesso a viva forza, con dolore lungo, con spasimi occulti, tremendamente: è il carattere forte; l’ altro è quello buono, è il carattere nativo, non deformato, che ha la bellezza e il fascino dei puri, semplici, genuini getti di natura.
Io confesso di avere imparato assai più dalle azioni, dal modo di vivere e di pensare del popolo umile e sano che da molte parole di dotti. Ho constatato ed ammirato il suo amore per la famiglia, la passione per i figli, la costanza nelle amicizie, la fiducia candida nelle trattazioni orali degli interessi, gli aiuti vicendevoli, le prestazioni senza garanzia, la pazienza, la rassegnazione pronta, la fede ingenua ed attiva, il sano ottimismo, e la freschezza dei sentimenti, e quell’ amore del meraviglioso che ne fa un poeta inconsapevole unico ed inimitabile. E’ lui che lascia dietro di se qualunque scrittore per il pittoresco e la straordinaria forza espressiva del suo linguaggio; è lui che sa ridere franco e schietto senza smorfie penose tutto il suo riso, ed è lui che, inarrivabile nell’ arte di dir pane al pane, sa pure dolcemente posare i più unguentati eufemismi su ogni piaga e su ogni ferita.
Ma quello che ha sempre destato in me maggior meraviglia è di vedere, di sentire, che egli così pacifico, così pratico e ragionevole, ama sopra tutti gli uomini che sembrano più lontani da lui, gli uomini che non gli parlano di solo pane, si chiamino essi Gesù o Napoleone o Garibaldi, e sente ogni tanto il bisogno imperioso, come la necessità, di un bagno di gloria e di sangue. Altrui gloria, in fondo; ma a lui basta il riflesso, il bagaglio accecante di quel fulgore che lo investe da vicino; e se quella grande fiamma lo assorbe, lo distrugge, che importa? Questo avviene forse perché egli vive, più che di opinioni, di fede, procede per dogmi, ha bisogno di credere come di nutrirsi, più ancora, e crede in ciò che più lo supera e lo trascende e non può comprendere: e lo ama. Al contrario dei mezzi ignoranti e dei mezzi saputi, i quali, non riconoscendo altra superiorità che la propria, non possono credere in nulla né ammirare ed amare altro che se stessi, vale a dire meno che nulla.
E’ la grande comunione dei fedeli e perfetti ignoranti quella che forma la parte migliore e più sana del popolo, e questa è come il coro della grande tragedia umana, che riconosce infallibilmente l’ eroe e lo segue, e lo commenta, e lo riprende anche se è necessario, ma non vuole essere preceduto da altri che da lui, perché solo in lui si riconosce intero, vede riflesso come in un puro specchio chiarificatore la sua forza e la sua giustizia e la sua innata e fondamentale bontà.

lunedì 17 agosto 2009

FUMUS IN AERE

L’ ignoranza dei giovani non è nativa come quella dei bambini, è acquisita, è una specie di malattia contratta dall’ ambiente, da quei veicoli d’ infezione che sono la maggior parte dei libri, e dagli esempi che corrono le strade. E’ una febbre che dura diversi anni e che in alcuni si risolve e scompare all’ inizio della virilità, in altri continua aggravandosi fino alla soglia della vecchiezza e talvolta più oltre. Sono questi ultimi casi che bisogna combattere senza tregua ed isolare senza pietà, perché quella febbre è di tal natura che invecchiando peggiora divenendo contagiosa oltre ogni dire. Un vecchio scienziato ignorante può far male all’ umanità quanto un’ epidemia di vaiolo nero o di peste bubbonica.
Studiare dunque il bacillo, e vaccinare la gioventù.
L’ ignoranza dei giovani è spavalda, fanfarona, e talvolta stranamente simpatica: irrita, indispone, preoccupa, e nello stesso tempo esercita su di noi non so che strano fascino dove il ricordo e la speranza si fondono in una trepida emozione che non è senza qualche dolcezza. Si pensa che forse ciò è necessario, e che passerà. Si pensa che ciò finirà per dissolversi e non lascerà traccia, come un fumo nell’ aria. E’ l’ età che il pensiero fa i suoi voli di prova e l’ istinto le sue scorribande in tutte le bandite, come un cacciatore di frodo. Egli gira l’ ostacolo o allegramente lo salta con uno slancio dei suoi muscoli elastici. Egli rifiuta, allontana da se, scarta tutto ciò che inceppa i suoi piedi, tarpa le sue ali, ostacola le sue passioni. Ha un fiuto speciale per i libri dove può trovare delle giustificazioni alla sua condotta e delle assoluzioni alle sue malefatte, e se non ha commercio coi libri, riconosce infallibilmente fra le filosofie che corrono le strade quella di più facile approccio e i confessori di manica larga. Se è giocatore sa dove rivolgersi, se è svogliato sa chi pescare, se è libertino, non se ne parli neppure. E non conosce dubbi. Il dubbio è sprone al pensiero ma remora all’ azione, è anchilosi, è gotta per l’ azione, e lui vuol camminare spedito. In politica, in arte, in religione, in fatto di scienza egli risolve i più annosi ed affannosi problemi bravamente, alla svelta, in quattro battute. Voi lo state a sentire strabiliati, a bocca aperta e mentre egli vi soffoca in uno straripamento di erudita ignoranza, voi pensate con accorta melanconia al futuro, e ai vagli e filtri complicati dell’ esperienza, e ai precipitati amari del chimico dolore. E’ l’ età di tutte le chimere, così facili a concepirsi e così difficili a realizzarsi. Quello che voi non avete potuto raggiungere né risolvere, non solo, ma anche quello che non è raggiungibile né risolvibile, sarà raggiunto e risolto da lui, non dubitate. Se voi gli fate qualche timida osservazione, se gli esponete qualche dato di esperienza personale ed anche universale, egli vi dirà: -- Come sei antico, babbo mio! – La segreta opulenza della sua natura, l’ ingenuo ottimismo di animale nel suo pieno vigore, recalcitrano, si ribellano a qualunque costrizione, sia pure quella indiretta dell’ insegnamento e del consiglio. Se l’ ossigeno dell’ aria potesse parlare, direbbe la stessa risposta all’ azoto che gl’ impedisce di bruciare il mondo; se la vite avesse la parola, parlerebbe nelle stesso modo al vignaiolo che la torce verso terra e la costringe col pieghevole salcio; e così parlerebbe la terra all’ aratro.
Nel giovane vi è sempre qualcosa del barbaro e dell’ anarchico. Occorre una grande forza dissimulata e paziente per ottenere che egli accetti di portare il peso comune che la vita impone e quello suo particolare che la nascita gli destina. In pochi anni egli deve rifare il cammino che l’ umanità percorse per arrivare, dalla selva e dall’ antro, alla città ordinata. Lungo, aspro, tormentoso cammino, con soste di smarrimento e faticose riprese, scorciatoie che allungano, avvolgimenti di labirinto, allucinazioni febbrili, fate morgane, tempeste, lacrime,disperazioni…
Uno dei segni di guarigione della febbre barbara è quando il passo si fa più lento, misurato. Il giovane che comincia a moderare i suoi passi, vale a dire i suoi desideri, può considerarsi guarito. Allora, o percorra la via della buona ignoranza, o quella della retta dottrina, egli è certo di arrivare al suo termine in compagnia della dolce, serena letizia.

I DESPOTI ADORATI

Una delle ragioni, forse la principale, per cui noi amiamo tanto i bambini, è la loro perfetta, perfettissima ignoranza. Oltre il loro candore e la loro grazia inimitabili, è quel loro assoluto ignorare, quella deliziosa inconsapevolezza di ogni bene e di ogni male, di ogni prima e di ogni dopo, che li circonda come una nebbia luminosa simile ad un nimbo, che ce li fa tanto e così dolorosamente cari. Alcuni ci lasciano quasi subito, ripartono fasciati di mistero fra candidi veli senza sapere nemmeno chi siamo noi di cui portano via con se il cuore; altri rimangono con noi, e non sappiamo per quanto, e si trema di non poterlo sapere. Sono questi che ci conducono con le piccole tenere mani dove a loro piace, sono gl’ inermi che ci disarmano, i despoti adorati ai quali è dolce ubbidire. E sono essi che saggiano il similoro del nostro sapere con la pietra di paragone della loro inesauribile curiosità. – Babbo, perché Iddio ha fatto i lupi che mangiano i bambini? Babbo, come ha fatto Iddio a farsi da sé?
Allora noi, i grandi, si desidera con tutta la forza del nostro sapere di essere dei perfetti, perfettissimi ignoranti.

lunedì 10 agosto 2009

CHE RIPOSO !

Il brutto ama la bellezza, il debole la forza, il povero la ricchezza, e il sapiente la vera ignoranza.
Che riposo, per colui che finì i suoi occhi sui libri, e smagrì nei suoi dubbi atroci, e tornò disfatto dai suoi voli disperati nell’infinito, che riposo parlare con un buono, genuino, sereno ignorante ! Il suo volto è tranquillo, placido, i suoi occhi sono mansueti e dolci come quelli di un cane da caccia. Quante volte ho parlato nei boschi, nel silenzio alto dei boschi, col mio cane da caccia che mi guardava come si guarda un Dio ! Così colui che non sa ed è forte e buono guarda il debole buono che sa. Non ci sono che i mezzi ignoranti che disprezzano la debolezza sapiente. Il loro sguardo è beffardo, il loro volto è un ghigno. Essi fanno di tutto per rendere visibile, per dimostrarvi la nessuna considerazione che hanno di voi, l’ assenza di ogni considerazione. Forse un poco vi temono, forse anche un poco v’ invidiano, ma non vogliono darlo a vedere. Sono figli di quella pestifera ignoranza che partorisce i superbi.
Che riposo, nel silenzio dei boschi, parlare col vostro cane da caccia che vi guarda come si guarda un Dio.

lunedì 3 agosto 2009

Per coloro che non mi leggeranno

Io scrivo questo libro per coloro che non mi leggeranno,
per il bene di coloro che sono destinati ad ignorare, - destino
poco crudele, - perfino il titolo di questo libro e la sua esistenza.
Io voglio rendere più umili e più buoni coloro che sanno, e
trasformare i mezzi ignoranti in ignoranti interi, perché coloro
che io amo siano più conosciuti, più considerati, più amati. Come
povertà non è un peccato, così non è peccato ignoranza, e Colui
che povero volle nascere, amò viver e intrattenersi di preferenza
con i semplici e gl’ indotti. Bisogna imitare l’ esempio divino,
bisogna scendere anche noi e mescolarci alle turbe, ma più per
imparare che per insegnare, per imparare specialmente, non il
nome, ma la pratica di due grandi virtù troppo dimenticate oggi
in alto, e anche a metà, e anche un poco più in giù: pazienza e
bontà.
Non allarmatevi. Io non vi parlerò con la dotta voce nasale del
quaresimalista infreddato, no; voglio stare allegro con voi, voglio
sbizzarrirmi, magari contraddirmi, allegramente con voi; ci
divertiremo insieme; cercherò anch’ io di trasformare un po’ del=
l’ acqua umile e casta, che non vi piace gran che, in un po’ di
frizzante ed esilarante vino. Se poi non riuscirò ad ottenere che
della modesta gassosa o un po’ d’ acqua di seltz, sarà sempre,
convenitene, qual cosina di guadagnato.

COLEI-CHE-NON-SA

Io voglio lodare Colei che danza fra cielo e terra,
cinta di nebbie azzurrine, la danza dei settemila veli, Colei
che sorride come il pargolo e dorme l’ innocente sonno
sognante dell’ anima pura. Io voglio cantare la Tutta-Bella
e Tutta-Buona, la Cenerentola dal piccolo piede e dalla
piccola adorabile testa, la carnale sorella dell’ Innocenza:
Colei – che - non – sa.

venerdì 31 luglio 2009

ET NUNC...

Il principio di un libro è un atto di disperazione
Impugnare la rivoltella e spararsi un colpo alla
tempia, o afferrare la penna e scrivere il primo rigo,
sono due gesti che si equivalgono, moralmente
qualche volta, energeticamente sempre.
Che cosa verrà dopo? La luce o la tenebra?
La vera vita, o la vera morte? L’ eterno gaudio,
o lo stridore dei denti? Non si sa. Si spara. Si scrive.
“ Et nunc, vir studiose, frange tibi caput pro faciendo libros “.

domenica 26 luglio 2009

Avvertenza

Questo libro fu concepito nei primi anni disgraziati
che seguirono la guerra, e scritto poi per la massima parte
l’Italia, che ormai pareva avviata ad una guarigione certa
dei suoi mali, soffrì di una improvvisa e terribile ricaduta
che mise in pericolo la sua vita rinnovellata di grande nazione
civile che stava per ritrovare le sue antiche vie della sua fortuna.
Per la esatta comprensione di certe allusioni politiche che
si troveranno specialmente raccolte in un capitolo, e di alcuni e
fugaci cenni della stessa natura sparsi qua e la per il volume, ma
più che altro per la giusta valutazione del loro tono, ho creduto
bene di premettere queste date. Il tono è un po’ quello generale
del libro, vale a dire un po’ oscillante fra disperazione e speranza.
ed è quale si conveniva ai tempi. Ora come ora potrà sembrare un
po’ antiquato, - corrono così veloci i tempi, oggi, - ma allora mi parve
il più adatto per esprimere i miei sentimenti e anche qualche giusto
risentimento. Sono stato alquanto indeciso se togliere quel capitolo
e quei pochi cenni da questo libro che con la politica ha veramente
poco a che fare, per non dire nulla, ma poi mi sono risoluto a
lasciare le cose al loro posto.
Oggi, so bene, è tempo di fratellanza e di perdono; ma permane ancora
nell’ aria il dolciastro delle pacificazioni familiari recenti un po’ dubbie.
E’ bene, perciò, che coloro che non provarono, sappiano, e coloro che
furono provati ricordino.
Tempo dolco e mare calmo, oggi. Sì.
Ma il nocchiero insonne che ci fu dato e che oggi governa con ferma
mano e con occhio sicuro la bella nave piena di fati, l’ uomo miracolosa=
mente attento e pronto, ci avverte con antica romana saggezza di parola
e di esempio che questo non è tempo di dormire, ma anzi di vigilare con
forte costanza ed austera disciplina.
“ Tranquillitas ista, tempestas est “ .
O diciamo meglio: potrebbe essere.