mercoledì 10 marzo 2010

ALLEGRO MA NON TROPPO

(Curiosità storica – 1922)

Vieni qua,corifeo,capo dei ballerini vieni qua.
Il caffè è deserto e l’ora è propizia per i confidenziali colloqui a quattr’occhi. Si sta molto bene in quest’angoletto vicino alla vetrata da dove si può vedere di tra le foglie dei bambù passare le belle ragazze nella strada. Hanno annaffiato e spazzato da poco e c’è un frescolino che fa piacere;la padrona pisola seduta al suo banco,il gattone angora pisola accanto a lei,e il cameriere seduto laggiù in fondo sogna di essere diventato il proprietario di un “bar” tutto specchi e bottiglie verdi rosse e gialle e con un globo di luce nel mezzo,accecante come il sole dell’avvenire. Mi rincresce proprio di doverlo svegliare,ma si consolerà vedendoti qui e gli parrà ancora un poco di sognare dolcemente. Ti offro una birra;accetti? Va bene. La teutonica cervogia è la madre delle idee che ti hanno abbeverato per tanto tempo e delle quali a tua volta abbeverasti tanti buoni pippioni,e perciò ti piace. Lo sapevo io preferisco il divino vino latino color sangue e color dell’oro:le due più grandi sincerità.
Dunque senti. Questo è il tuo campo di battaglia,non è vero? Vedo su questo marmo dei piani strategici disegnati col lapis,e riconosco il tuo carattere da questi due versi che non tornano:sono abbastanza sporchi,è vero,ma non tornano,sono dei versi a piede libero,come te. C’è anche una donnina in costume evitico,con dei seni più voluminosi del suo podice,che è tutto dire,e anche questa deve essere opera tua:c’è la marca di fabbrica,evidentissima. Tu sai fare molte cose,non c’è che dire,tu sei molto versatile,anzi,i tuoi ammiratori dicono che tu sai far tutto. Male,aggiungo io;e converrai che esagerano un pochino. Ora dimmi.—tanto qui nessuno ci sente;--di quali frottole,di quali panzane,di quali dense,sconosciute pastocchie hai tu inghebbiato quei poveri barbagianni che ti stanno a sentire la sera intorno a questo tavolino,così rimminchioniti che si dimenticano perfino di riaccendere le pipe spente? Che cosa non avranno bevuto e non bevono e trangugiano propinato e servito da te? Se stasera, per esempio,arrivando qui tu dicessi loro che a cena hai mangiato un arrosto di arabe fenici,essi ti crederebbero sulla parola. Ne hanno ingollate ben altre senza batter ciglio.
Ah,ecco la birra. Bravo Pippo,salute a Pippo dai piè dolci;e ora torna pure a dormire e sogna il nonno morto che ti da i numeri:c’è più sugo,credimi,che a sognare il sole di là a venire.
Dunque dicevo … Ah,si,ne hanno ingollate ben altre,come quando davi loro ad intendere che Iddio è uno spauracchio inventato dai preti,che la famiglia è un’ubbia,che la patria è dove si sta bene,che la povertà è un furto,che si può fare benissimo senza la moneta,--questa poi è la tua principale fissazione,--e che le donne devono essere a comune,--e anche questa è un’altra grande fissazione,e la venere steatopigia ha sempre una parte preponderante nelle tue rosee palingenesi,--e che tutti siamo eguali,e che non ci devono essere ne capi ne code … Proprio come nei tuoi discorsi. Non scuotere la testa,corifeo:ti ho sentito con questi orecchi. – Spesso “io ti seguia”,e in questo caffè e altrove,non con prave intenzioni,intendiamoci bene,ma per puro e semplice amore dell’arte. Ah,come mi sono spassato! Una sera,--tu eri in vena di storia—mi ricordo che raccontavi il fattaccio di Lorenzino de’ Medici,e dopo aver “succhiellinato” con entusiasmo per far vedere al vivo la cosa ed aver fatto un’allegra confusione fra Scoroncolo e Maramaldo,tu concludesti che in premio del magnifico gesto fu dato a Lorenzino il titolo di Lorenzo il Magnifico. Ah,come tremava nella tua voce il desiderio della bellezza antica. Ti ho sentito anche parlare della “Grande Rivoluzione” nella quale ti dicevi molto versato,ed eri veramente tanto versato che non ti era rimasto nel boccino del capo altro che qualche nome dei più truci,e qualche giornata delle più truculente,e qualche motto dei più bestiali,confondendo tempi e persone. In compenso facevi su questo tavolino grandi disegni di barricate e di lampioni,con precisi ed amorosi dettagli. Ma dove mi divertivo di più era quando tu parlavi di banche e di borse,di cambi,di aggi ed aggiotaggi che per te erano la stessa cosa,ed esponevi le tue vedute e le tue teorie originali,ilari,impensate. Con quale perspicuità d’idee,con quale geniale disinvoltura tu risolvevi le affannose questioni dei commerci e degli scambi e delle distribuzioni che affaticano le menti dei finanzieri e degli economisti tardigradi! Ah,tu eri grande allora,ed io mi meravigliavo molto che il piano di sopra non ci rovinasse sulla testa al succedersi di tante e si formidabili esplosioni della tua genialità. E nessun dubbio in te,nessuna ombra di dubbio,mai. Tu procedevi per certezze,assiomatico,dommatico,tu che disprezzi e deridi ogni dogma. E Dio ne liberi a muoverti la più timida e rispettosa obiezione. Tu che sei l’obiettatore tipo,l’obiettatore nato,prendevi fuoco subito,ti accendevi di santa indignazione come per una insolenza immeritata e villana. Tu fai di mestiere l’aggiustatore,mi hanno detto,ma nessuno ha saputo dirmi di che. Cosa diavolo ti aggiusti,corifeo? Qui ci vorrebbe un romano de Roma per terminare a dovere la domanda,ma io non sono romano,e ti dico che tu potrai essere benissimo aggiustatore di tutto quello che vuoi,ma una cosa certo non aggiusti davvero ed è il cervello dei tuoi simili. Come ti ho già detto io ti seguivo spesso anche fuori di qui,fuori di questo caffè. Tu esercitavi su di me non so quale attrazione irresistibile,ipnotica,simile a quella che esercitano su di noi certe inesplicabili mostruosità. Ti ho seguito specialmente nelle grandi giornate quando tu eri più corifeo del solito,quando uscivi di casa col tuo mantice sotto il braccio per soffiare nel fuoco e riscaldare la massa fino al calore bianco. Altri corifei più grossi di te erano venuti di fuori nella nostra cara città accogliente,di quei corifei che empivano allora le gazzette dei loro nomi e sproloqui,e uno dopo l’altro dalle compiacenti finestre municipali si mettevano gagliardamente a soffiare coi loro più grossi mantici e sparare le loro bombarde caricate a paroloni che facevano tremare i vetri e gli entragni borghesi. E soffia,e spara,e attizza,finalmente il calore necessario voluto era raggiunto,e la massa fusa incandescente,sprizzante bagliori e fragorosa di esplosioni sinistre,si riversava in rossi vortici per le vie cittadine come una lava. Com’eri felice,allora,corifeo! Com’eri giulivo e rosso di sudata gioia e di smisurato affaccendamento! Come ti espandevi e quanto daffare ti davi,di qua e di là,distribuendo coccarde,legando rossi nastri ai bracci,su,giù,a scrivere,a impartire ordini,spedire staffette,a destra,a sinistra,al telefono,al telegrafo …
Com’eri elastico,rimbalzante,come saltellavi,come piroettavi,come svolazzavi … Mi facevi quasi un po pena,sai,da tanto che eri felice,come fanno sempre pena le persone troppo visibilmente e smisuratamente felici. Io pensavo con malinconia all’”extremum gaudii” dell’antica saggezza.
Sì,fu proprio in uno di quei giorni che tu m’entrasti in casa,in casa mia,con un branco dei tuoi ballerini vociferanti. Io,vedi,rifuggo dal citare i miei casi personali,molto,molto rifuggo,ma quello fu così eccezionale,che permetterai anche a me di fare una piccola eccezione. In fondo non è che un piccolo sfogo che la mia sopportazione d’allora autorizza a giustificare. Vi sfogaste tanto,voialtri,in quei giorni radiosi.
Ah,l’oscena ridda nella mia casa violata! Il bimbo che trema e piange fra le mie braccia e gli altri che si stringono con tutte le loro forze ai miei ginocchi invocando la mia protezione,e le donne che gridano pazze di terrore intorno a me,abbracciate a me,vedendo la gente irrompere urlando nella stanza dalla porta forzata … E di fuori altri ceffi urlanti,bercianti,sinistri,che fanno ressa per entrare,traboccano,irrompono anche loro,visi pallidi d’ira e lividi d’odio,visi rossi,accesi,sudati di furore,scalmanata marmaglia male odorante che strepita e si rimescola eccitandosi con alti clamori e vociferazioni minacciose,saettando attorno con occhi invidi,agitando in alto mani adunche,pronte alla rapina. Domando con chi devo trattare,chi è il capo. Mi si presentano insieme una mezza dozzina di figuri facendo a sopraffarsi,uno cercando di escludere l’altro a colpi di gomito nello stomaco,e tutti gridano il loro titolo gerarchico con esibizione di strani documenti sporchi,rincincignati,illeggibili. Le loro fiatate di vino,di zozza e di cicche masticate mi mozzano il respiro. Uno mi dice,press’a poco,che è “il segretario della rivoluzione esecutiva”. Insisto per parlare col capo vero,autentico,riconosciuto da tutti,parendomi cosa impossibile,contro natura,che non ci sia. Ma non si trova. Allora penso fra me a quella bestia favolosa che aveva la testa nei piedi. Finalmente apparisti tu,mio caro corifeo,che eri rimasto prudentemente nella strada sopra un camion della spedizione. Mi conoscevi un poco,e mi dicesti che eri venuto a tutelare i diritti imprescrittibili di non so chi. I miei non certo. Nel tuo volto era non so che rigida gravità imponente di ubriaco severo,e mi parve che le gambe non ti reggessero troppo bene. Forse eri un po’ ebbro di dominazione. Dovetti subire un tuo interrogatorio,poi,ad un tuo ordine la porta di strada fu chiusa e cominciammo il giro della mia casa seguiti dalla razzumaglia rimasta dentro. Tutto fu aperto,rovistato,frugato,scrutato dalla cantina alle soffitte. Ah,quanti rospi dovetti ingollare quel giorno! Finalmente ti persuadesti che non ero un accaparratore di derrate né un affamatore del popolo e ti contentasti di prendermi una botte di vino,l’unica che mi era rimasta,e che fra le vostre mani diventò aceto,e mi requisisti per le vostre spedizioni un cavallo che mi tornò rovinato e un barroccino che fu reso inservibile. Intanto,mentre il giro della casa stava per finire,si udurono a un tratto degli spari e si videro delle colonne di fumo alzarsi da una casa colonica non lontana. Era un contadino che tirava delle fucilate da una finestra della sua casa in fiamme su qualche masnada di requisitori,uno che aveva preso sul serio quella coserella da nulla che si chiama la proprietà,ed esercitava stupidamente il suo diritto,--prescrittibilissimo,secondo te,--d’ “incolpata tutela”. Tu diventasti pallido,poi livido,--si santo sdegno,naturalmente,--e sforzandoti di gridare “a noi! “ con quel poco di fiato che ti rimaneva,ti precipitasti fuori di casa mia seguito dai tuoi fidi.—Addio senza ritorno!—ti dissi dietro. E tu corresti la dove il dovere ti chiamava,a dar manforte,a incorare,spingendo i tuoi all’assalto,intrepidamente,dando ordini,ritto,impavido,dietro un grosso muro.
Ti vedevo,sai,bene mio!
Intanto dalla casa in fiamme neri globi di fumo si alzavano che il vento spargeva sulla campagna livida e senza sole. Io pensavo,senza qualche apprensione,che forse quello era il principio della fine;ma poi,guardando te,considerando bene te,mi venne fatto di riflettere che poteva anche essere la fine del principio.
Seppi poi che un assalitore era stato ferito da un colpo di vanga nella testa e un altro da una fucilata e che vi erano altri feriti e contusi più leggeri,ma che tu eri rimasto perfettamente incolume. Che sollievo,per me!
La sera, in una piazza inverosimilmente gremita,tu parlasti come un trionfatore,e c’ero anch’io. Tu cominciasti così:”Compagni,io sono oggi contento di voi e per voi. In questo fausto giorno noi abbiamo trovato venticinque quintali di cacio,ottanta prosciutti,centoquarantacinque salami,venti bariglioni di tonno,trecento barili di vino… “—Oh,gli applausi! E continuasti così un bel pezzo ad elencare il vario e prezioso bottino conquistato in campagna e in città. Pareva di udire un proclama napoleonico dopo una grande battaglia. Oh,il delirio degli applausi! E poi ti portarono in trionfo,ti alzarono sulle braccia perché tutti potessero vederti e goderti,e osannavano al tuo nome. E dopo ricominciarono le grida di abbasso e di morte ad altri indirizzi,e nuovi tumulti,e sfondamenti di porte e invasioni di botteghe e di magazzini.
Ti confesso,e Iddio mi perdoni,che in quel giorno io pensai più volte con morbosa simpatia a Claudio Cesare Nerone. Con uno solo,--mi dicevo,--si può anche reggere;ma che mondo,con delle miriadi di piccoli neroncini avidi e sporchi tuoi pari! Come te la scialavi e gavazzavi,quanto cacio piovve sui maccheroni in quei giorni radiosi! Tu pensavi che la cuccagna era ormai assicurata,almeno per te e per gli altri compagnoni corifei,e già vedevi nell’accesa fantasia lauti simposi,seriche alcove,lussuose delizie,orge,voluttà,sangue nemico… Eri proprio per toccare il cielo con un dito,ti mancava un’unghia,un nulla…. E tutto ad un tratto,che è che non è…
Che capitombolo,corifeo mio!
Cos’era successo?
Te lo dico subito. Quando la misura è colma,Iddio manda sempre un uomo,e quest’Uomo venne meno te l’aspettavi,di dove meno te l’aspettavi,e ti levò di sotto la male salita scala. Ora sei per le terre e ancora tutto ti duoli della caduta precipite. Non ti raccapezzi,invero,come sia andata? Mi raccapezzo io,e ti spiego. La tua personalità morale comincia dallo stomaco in giù,”in lumbis est”;la personalità di quell’Uomo comincia dallo stomaco in su,è nel cevello,è nel cuore,e perciò ti ha vinto. Non è adulazione la mia,è semplice riconoscimento e riconoscenza pura. Che cosa poteva fare di più e di meglio per me che salvare tutti coloro e tutto ciò che piùamo?
Ti vuoi rialzare da terra,corifeo? C’è una maniera molto semplice. Liberati da quella mezza dozzina d’idee sbagliate che hai nella testa,ritorna il buono e perfetto ignorante che eri una volta,prima che gl’importatori e rappresentanti di gallico e teutonico fumo sulle piazze italiche ti avessero annebbiato il cervello,e sii puramente e semplicemente quello che sei e devi essere,con naturalezza,né più né meno. Non ti gonfiare,non esagerare le tue dimensioni:non sai che l’enfiatura delle gote del superbo gli chiude gli occhi e non gli permette più di vedere chiaro? La tua belle e serena ignoranza riacquistata ti spianerà le gote e ti permetterà nuovamente di veder bene e t’insegnerà di nuovo tante cose belle e buone,dimenticate. Potrai anche continuare a fare il corifeo,se ti piace,il buon corifeo s’intende,e sarà facilissimo. Basterà che tu metta la patria dove mettevi la classe,il dovere dove mettevi il diritto imprescrittibile,l’amore al posto dell’odio…
Tu ridi,corifeo?I nostri cari vicini d’oltralpe dicono che quando si ride si è disarmati.
Ebbene,salta il fosso. Io ti dirò una cosa che ancora non avevo detta a nessuno. Quel giorno che mi entrasti in casa senza permesso,vedendo il bambino che avevo in collo piangere di paura,tu gli carezzasti la piccola gota molle di lacrime. Per quella carezza ti ho perdonato molte cose. Guarda,io ti tendo la mano per aiutarti a saltare. Vuoi?
Cosa dici?... Cosa hai detto? Ah,che sono cose da pensarci? E sta bene,pensaci pure,sei nel tuo diritto,ma allora voglio dirti un’ultima cosa. Se vieni da questa parte noi tesseremo insieme la bianca tovaglia per il banchetto dove i nostri figli,fatti uomini,potranno assidersi riconciliati;rimanendo dalla tua parte,voi non potete tessere che un sudario.
Un’ultima parola ancora,e poi ho finito davvero. O tu rimanga di là,o tu venga di qua,ricordati sempre la parola dell’oracolo famoso: “Ne quid nimis”. Sai che vuol dire? Lo traduco per te,alla libera;vuol dire:Allegro, ma non troppo.
Pippo dai piè dolci,portaci due bicchieri di vino,uno rosso e uno oro:i colori delle due grandi sincerità.